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302 | ATTO TERZO |
SCENA XI.
Cricca e detti.
Cricca. Signor padrone1.
Policastro. Che c’è?
Cricca. Non dico a lei, dico al signor Geronimo.
Policastro. Eh, già non sono padrone io; non conto nulla io.
Cricca. Ho una cosa da dirle. (a Geronimo)
Geronimo. Ditela.
Cricca. Che non senta il signor Policastro. (piano a Geronimo)
Geronimo. Venite qui. (lo tira in disparte)
Policastro. Non ho da sentire io; non c’entro io; non conto nulla io. (mangiando fichi)
Cricca. (Ho sentito strepito nella di lei camera. Ho guardato per il buco della chiave, e ho veduto il signor Grisologo, unitamente al signor Ridolfo, che forzavano il di lei armadio). (piano a Geronimo)
Geronimo. (Cospetto di bacco!) (parte subito)
Policastro. Che c’è? dove va?
Cricca. Non so niente io. (parte)
Policastro. Va a vedere che cosa c’è. (a Geppino)
Ceppino. Vuol restare qui solo?
Policastro. Anderò ancor io a vedere... No, è meglio che me ne vada nella mia camera... (parte da un altro lato con Geppino)
SCENA XII.
Camera con lumi sul tavolino.
La signora Felicita, poi Grilletta.
Felicita. Pagherei uno scudo a poter vedere la signora Leonide, e corbellarla un poco. Ma la vedrò domani. Spero che il signor Ridolfo tratterà meco da galantuomo; mi manterrà quello che mi ha promesso; ed io poi sarò obbligata di corrispondere...
- ↑ Distrazione goldoniana: nei due primi atti Cricca è servitore di Ridolfo.