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I MALCONTENTI | 293 |
SCENA III.
Il signor Ridolfo.
Il mondo è fatto così, per quello ch’io vedo. Ciascheduno vuol fare più di quello che può. Io mi rovino a debiti, e non so come anderà a finire. Mi basterebbe per quest’anno solo poter tirar innanzi con riputazione. L’anno venturo mi metterei un poco in economia. Gli è vero, che sono cinque o sei anni che vo dicendo così, ma una volta poi ci s’ha da venire ad una riforma. Se non altro in occasione di maritarmi. Se crepasse questo1 vecchiaccio del signor Geronimo! Se potessi metterci le ugne in quei dobloni di Spagna... Oh, ecco che tornano dalla commedia. E per partire non c’è fondamento2. Oh sì, che vogliamo sentire la signora sorella a cantarmi la solfa in tutte le quattro chiavi.
SCENA IV.
La signora Leonide col signor Mario, serviti di lumi da Servitori,
ed il suddetto.
Leonide. Eccoci, eccoci; fate attaccare, che siamo all’ordine.
Ridolfo. È finita la commedia?
Leonide. Non ancora; non abbiamo avuto la sofferenza di starci sino alla fine.
Ridolfo. Avrei piacer di sapere, come da ultimo il popolo l’ha applaudita.
Leonide. Il signor Roccolino, che vi è rimasto, ve lo saprà dire. Intanto ordinate che attacchino; non perdiamo tempo.
Ridolfo. Aspettiamo il signor Roccolino. Ma ditemi qualche cosa della commedia. C’è niente di buono?
Leonide. Se la finiscono, fanno molto.
Ridolfo. È cattiva dunque?
Leonide. Scelleratissima.