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290 ATTO TERZO


Ridolfo. Lo sapete voi, signore, ch’io sono mezzo disperato, e più di mezzo ancora?

Procuratore. Veramente la compatisco. I suoi creditori non dormono questa notte. Altri sono alle porte della città, altri girano qui d’intorno...

Ridolfo. Come! m’assediano! mi circondano! Sono io un qualche fallito? Mi maraviglio di voi, che abbiate anche l’ardire di dirmelo.

Procuratore. Io penso di far bene avvisandola.

Ridolfo. Non avranno tanta temerità. Sarà poi più interesse vostro, che loro.

Procuratore. Interesse mio, eh? Che caro signor Ridolfo! S’ella non mi conosce bene sinora...

Ridolfo. Siete di una razza di gente, che non si conosce mai abbastanza.

Procuratore. Mi maraviglio di lei, signore: a quest’ora dovrebbe conoscermi. Se nella professione mia vi è qualche briccone, sarà particolarmente segnato, ma il numero maggiore è quello de’ galantuomini, ed io mi vanto di essere fra questi. Un giorno conoscerà meglio chi sono. Andrà, andrà nelle ugne di alcuno di quelli che tengono mano a contratti illeciti; troverà di quelli che le faranno avere il denaro ad usura, e poi verranno con lei a mangiare la loro quota in campagna. Servitor umilissimo. (in atto di partire)

Ridolfo. Venite qui, sentite.

Procuratore. Non occorr’altro; la riverisco divotamente. (parte)

SCENA II.

Il signor Ridolfo, poi Grilletta.

Ridolfo. Io sono nel maggior imbroglio di questo mondo. Se non fosse l’impegno... Sento gente dalla parte del signor Geronimo. Sento scender le scale; se fosse lui almeno... Ma no, è la serva di casa.

Grilletta. (Guardate se sono vere pazzie queste. Mandarmi a quattr’ore di notte fuori di casa). (da sè)