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278 ATTO SECONDO

dar mano alla rovina delle persone. Pur troppo si sentono cose che fanno inorridire. Chi presta col pegno in mano e coll’usura palliata. Chi dà ad interesse coll’utile sfacciato di venticinque o trenta per cento. Chi dà i zecchini in imprestito a trenta paoli l’uno. Ma all’ultimo, signor dottore, il diavolo porta via ogni cosa; e dice il proverbio, quel che vien di ruffa in rafia, se se ne va di buffa in baffa.

Procuratore. Verissimo, signor Geronimo, verissimo. E se sapeste quanti ne hanno mangiato per questa strada al povero galantuomo, che ora ha bisogno dei mille scudi!

Geronimo. Chi è egli?

Procuratore. Sapete chi è? Il signor Ridolfo, che sta qui sopra di voi.

Geronimo. Il signor Ridolfo?

Procuratore. Sì signore.

Geronimo. Amico caro, compatitemi. Io non gli voglio dar niente.

Procuratore. Per qual ragione? V’assicuro io che vedrete le cose chiare.

Geronimo. No certo; a lui non do denari per assoluto.

Procuratore. Avete inimicizia con il signor Ridolfo?

Geronimo. Sono inimico del suo modo di vivere, del suo costume, della sua mala condotta; e non voglio io coi miei danari contribuire alle sue pazzie. Mille scudi? se li spende tutti in un mese in villeggiatura.

Procuratore. Non li prende per questo; ma per pagar i suoi debiti.

Geronimo. Tralasci di andar in villa. Moderi le sue spese, si metta in un poco d’economia e potrà pagare i suoi debiti, senza aggravarsi d’un altro peso di quarantacinque scudi di censo.

Procuratore. Dite bene, signore; ma se non glieli date voi, glieli darà un altro.

Geronimo. E bene? Se si vuol rovinar, si rovini. Ma io non ne voglio parte.

Procuratore. Mi dispiace che il povero signore ha tutto disposto per andar in campagna. Ha perfino mandato i letti questa mattina, ed ora è circondato dai creditori; e se non paga...