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276 | ATTO SECONDO |
commedia e la dà ai comici da recitare. Oh sì, che vi farete onore. Vorreste ch’io pure, eh? fossi presente alle fischiate che vi faranno?
Grisologo. Signore, voi non mi credete capace...
Geronimo. No, non vi credo capace. Uomini consumati vogliono essere a tal esercizio. Mi sono dilettato anch’io di commedie, e, vecchio come sono, quando si fanno delle cose buone... L’avete fatta vedere a nessuno questa vostra commedia?
Grisologo. Non signore, a nessuno.
Geronimo. E vi arrischiate a esporla così?
Grisologo. Oggi sono in impegno di leggerla a qualcheduno.
Geronimo. Dove?
Grisologo. Qui in casa, se il signor zio si contenta.
Geronimo. Sì, leggetela; se potrò, ci sarò ancor io a sentirla. Posto che abbiate fatto la bestialità di darla, almeno non vi porrete in ridicolo. Stimate meglio la vostra riputazione.
Grisologo. Mi danno dodici zecchini; non li vorrei perdere.
Geronimo. Imprudentissimo! stimate dodici zecchini più della vostra riputazione? Ve li hanno dati questi danari?
Grisologo. Non signore, me li daranno.
Geronimo. Quando?
Grisologo. Domani.
Geronimo. Piaccia o non piaccia? Vada mal, vada bene?
Grisologo. S’intende quando piaccia.
Geronimo. Voleva ben dire io, che i comici, che sanno il viver del mondo, volessero arrischiare sì malamente il denaro loro. Povero sciocco! Se la commedia va male, voi avrete il danno e le beffe.
Grisologo. La commedia mia anderà bene.
Geronimo. Chi lo dice?
Grisologo. Lo dico io, signore, e non parlo senza il mio fondamento. Ho letto, ho veduto, ho studiato; so quel che faccio, so come scrivo, e in poco tempo vedrete il nome mio stampato, vedrete il mio ritratto in rame, e forse forse mi sentirete chiamar quanto prima il nuovo riformatore: il Sachespir italiano. (parte)