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266 | ATTO SECONDO |
Felicita. Diceva io alla signora Leonide, che se avessero differita la loro partenza a domani, avremmo1 avuto la fortuna d’andar insieme.
Ridolfo. Davvero? Differiamola dunque. (a Leonide)
Leonide. Non signore, non signore, non si può differire. Si è mandato a dire agli altri che si partirà questa sera; volete che ci trattino da pazzi?
Ridolfo. Niente, cara sorella, non vi confondete. Manderò io da tutti: alcuni anzi avranno piacer di restare. Questa sera vi è la commedia nuova.
Felicita. Oh sì, questa sera vi è la commedia nuova.
Leonide. Pensate voi, se per una scioccheria simile s’ha a differire la nostra partenza.
Ridolfo. Io ci ho tutta la mia passione per le commedie; restiamoci, cara sorella.
Leonide. Se volete restar voi, restateci; io me n’anderò con tutta la compagnia.
Felicita. Lo sapete, signor Ridolfo, chi sia l’autore della commedia nuova di questa sera?
Ridolfo. Non signora, non lo so. Sento dire che sia un autore novello, che per la prima volta si espone.
Felicita. Ora sappiate che quest’autore novello è il signor Grisologo, mio fratello.
Ridolfo. Meglio. Restiamoci, signora Leonide.
Leonide. Oh, oh, sarà una bella cosa davvero! (ironicamente)
Felicita. Non ne ha più fatto; per altro sento dire che sia una bellissima cosa.
Leonide. Quasi, quasi ci resterei; ma non è possibile, signor Ridolfo, bisogna andar per forza.
Ridolfo. Perchè per forza?
Leonide. Non lo sapete che questa mattina per tempo si sono mandati in villa tutti i letti, e che non vi è da dormire nè per noi, nè per la servitù?
- ↑ Pittori: avressimo.