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I MALCONTENTI 265

certamente. Per quest’anno io la consiglierei a servirsi di questo che ha in dosso, che finalmente poi è un abito buono; è vero che non è all’ultima moda, ma ne vedrà degli altri così.

Felicita. Bene, bene, farò come dice lei. (Che invidia! Non vorrebbe che le altre si vestissero come veste lei!) (da sè)

Leonide. Andate, licenziatelo, e ditegli che al mio ritorno lo farò avvisare. (a Cricca)

Cricca. Sì signora. (Ho capito: non sa come fare a pagarlo). (da sè)

Felicita. (Già or ora lo manderò a chiamare dalla bottega). (da sè)

Leonide. (Non avrei mai creduto che mio fratello avesse così pochi denari). (da sè)

Felicita. Oh signora Leonide, le leverò l’incomodo.

Leonide. Ella non incomoda; favorisce.

Felicita. Le auguro buon viaggio; si diverta bene, e avrò l’onore di riverirla in campagna.

Leonide. Se vuol venire da noi, è padrona.

Felicita. Chi sa? Può essere che in passando mi prenda la libertà di scendere un poco da lei.

Felicita. Serva umilissima, signora Leonide. (partendo)

Leonide. Serva divota.

SCENA IV.

Il signor Ridolfo e le suddette.

Ridolfo. Oh signora Felicita, dove si va?

Felicita. Levo l’incomodo alla signora Leonide. Sono venuta a far il mio debito.

Ridolfo. Troppo gentile, signora. Prima ch’io parta, sarò a riverirla, e a ricevere i suoi comandi.

Leonide. A che ora partiremo, signor Ridolfo?

Ridolfo. L’ora non l’ho per anche fissata.

Leonide. Fissatela. Ci vuol tanto? Prima avete detto dopo desinare. Poi alla sera. Volete aspettare la notte? Si può partire quando tramonta il sole.

Ridolfo. Si partirà, quando si potrà. (E se non vengono i mille scudi, non si partirà). (da sè)