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I MALCONTENTI 263


Leonide. Vede, signora Felicita, che non sa niente? Non è alla moda. È da città, e non è da campagna. Vede il mio? Così va fatto. Tutte così lo portano, e chi non ha il vestito alla moda, non occorre si metta in impegno. Io non vi anderei certo in villa con un abito antico.

Felicita. Credo di aver il modo di potermelo fare un abito come quello.

Leonide. Come questo non sarà così facile. È di buon gusto, sa ella? Il mio sarto, che veste le prime dame della città, mi assicura che il simile non l’ha fatto in quest’anno.

Felicita. Io non ci vedo poi questi gran miracoli.

Leonide. Che! mi burla? Perdoni, signora Felicita; ella non se ne intenderà poi tanto. Per altro...

Felicita. Qual è il sarto che glielo ha fatto?

Leonide. Monsieur Lolì. Lo conosce?

Felicita. Se lo conosco! Mi ha fatto questo che ho in dosso. Oh, guardi un poco!

Leonide. Non so che dire. Quand’ella lo dice, sarà. Ma quello non mi pare il taglio di monsieur Lolì.

Felicita. Non sono capace di dire una cosa per un’altra. L’ha fatto egli medesimo colle sue mani.

Leonide. Vi è una grandissima differenza. Può anch’essere che venga dal taglio di vita.

Felicita. Oh, oh, in quanto alla vita, cara signora Leonide, non mi pare di essere stroppiata.

Leonide. Non dico questo. Ma non ci vedo il buon gusto.

Felicita. Pare a lei così, perchè il mio vestito non è da campagna.

Leonide. Sì, è vero; le cose compariscono buone o cattive, secondo in che vista si prendono. Per città non è cattivo quell’abito, ma in campagna non la consiglierei di portarlo.

Felicita. Io son capace di farmene uno a bella posta, subito subito.

Leonide. Per quando?

Felicita. Per domani.

Leonide. Monsieur Lolì non glielo fa in un mese.

Felicita. Coi denari si fa tutto, signora.