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262 | ATTO SECONDO |
SCENA II.
La signora Felicita e la suddetta.
Felicita. Non parte ancora la signora Leonide? Serva sua.
Leonide. Umilissima. Si è differito alla sera per maggior comodità. Di giorno fa ancora troppo caldo; abbiamo poi il benefizio della luna, che è un piacere viaggiar di notte.
Felicita. Quanto goderei che differissero sino a domani.
Leonide. Perchè? ha qualche cosa da comandarmi?
Felicita. Obbedirla sempre. Non signora, ma domani avrei l’onore di poterle servire di compagnia.
Leonide. Per dove, signora Felicita?
Felicita. Per campagna, signora Leonide. Sa che i beni della nostra casa non sono lontani dai suoi. Potremmo1, s’ella si degnasse, fare una carrozzata insieme.
Leonide. Che dunque va ella pure in campagna?
Felicita. Oh sì, signora. Non vuole? Sarebbe bella che l’autunno non si andasse un po’ a villeggiare. Ci vanno tanti, che non hanno un palmo di terra. Meglio ci possiamo andar noi, che abbiamo case e poderi.
Leonide. Non ci è mai stata per altro in villeggiatura.
Felicita. Perchè finora non ho voluto andarvi.
Leonide. Ed ora le è venuta la volontà perchè ci vado io, non è egli vero?
Felicita. Oh, pensi lei! Io non sono di quelle, signora. Grazie al cielo, non ho motivo d’invidiare il bene degli altri. Alla nostra casa non manca niente. Credo che ella lo sappia, quanto lo so io, chi siamo e chi non siamo.
Leonide. Sì, anzi... favorisca. Va con quel vestito in campagna?
Felicita. Perchè no? Non è egli proprio? Non è una cosa civile?
Leonide. Mi perdoni. Si renderà ridicola con quel vestito in campagna.
Felicita. È forse troppo? Le par troppo ricco?
- ↑ Pitteri: Potressimo.