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254 ATTO PRIMO


Ridolfo. Al mio ritorno ci baderò.

Procuratore. E intanto gli avversari non dormono.

Ridolfo. Badate voi a non dormire, e a trovarmi subito i mille scudi, o qualche espediente per sottrarmi da quei bricconi che mi circondano.

Procuratore. Non dite loro bricconi. Sono genti oneste, che vi hanno affidato il sangue loro.

Ridolfo. Or ora mi fareste venir la rabbia.

Procuratore. Anderò via, per non alterarvi.

Ridolfo. Avvertite, che domani voglio partire.

Procuratore. Ho capito. Servitor suo.

Ridolfo. Schiavo, signor dottore.

Procuratore. (Gran cosa a questo mondo! Per fare quello che non si può, si fa anche quello che non si deve). (parie

SCENA XIII.

Il signor Ridolfo, poi la signora Leonide.

Ridolfo. Sono alcuni anni che le cose mie vanno male. Quando torno di villa, vo’ principiare a mettermi in economia. Sarebbe tempo ch’io mi accasassi. Se trovassi una buona dote, potrei sanar le mie piaghe, e fare un poco più di figura. La signora Felicita sarebbe un buon partito, se suo zio volesse maritarla. Ma è un vecchio stitico, a me non la vorrà dare.

Leonide. Eccomi, signor fratello. Mi rallegro del bel vestito.

Ridolfo. Che vi pare? va bene?

Leonide. Va benissimo. Mi piace, è di buon gusto; è benissimo fatto. Ma che vi pare del mio?

Ridolfo. Anche il vostro non istà male.

Leonide. Appunto questo è il conto del sarto; bisogna pagarlo.

Ridolfo. Lo pagherò al ritorno.

Leonide. Sono in parola di pagarlo subito; gli ho detto che fosse ritornato, e sarà qui a momenti.

Ridolfo. Ma io ora non sono in comodo di pagarlo.

Leonide. Come! non avete denari?