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252 ATTO PRIMO


Ridolfo. Ma qual rimedio ci trovereste voi?

Procuratore. Il rimedio più facile sarebbe dar loro un poco di denaro alla mano, e per il resto vedere di accomodarsi alla meglio.

Ridolfo. Dite bene voi, signor dottore carissimo, ma io di denaro sto male assai.

Procuratore. Perdoni, se mi avanzo troppo. Ella fa delle spese superflue. Ecco, per andar in campagna si è fatto un vestito nuovo, magnifico, che non occorreva. Averà speso de’ zecchini parecchi, e con questi poteva contentare due o tre creditori.

Ridolfo. A dirvi la verità... per quest’abito sinora non ho sborsati denari.

Procuratore. E quando lo pagherà?

Ridolfo. Al ritorno.

Procuratore. Tutti al ritorno. Ma non si ricorda ella, che il vino di quest’anno lo ha quasi tutto obbligato a quel signore che gli ha guadagnati i dugento zecchini al faraone?

Ridolfo. La mia pontualità voleva che io facessi così. I debiti di gioco devono essere i primi pagati da chi ha riputazione in capo.

Procuratore. E i poveri bottegai che hanno dato il loro sangue...

Ridolfo. Orsù, non ho bisogno che voi mi facciate nè il correttore, nè il moralista. Pensate al ripiego, se c’è presentemente. Voglio andar in villa. Sono impegnato con una partita d’amici, e non posso sottrarmi.

Procuratore. Vuol ella dar niente alla mano a quelli che fanno il fuoco più grande?

Ridolfo. Dei denari che ho destinati per la villeggiatura, non ne posso toccar uno. Ho preso le mie misure: cencinquanta zecchini in un mese, è il meno ch’io possa spendere. Non me ne priverei di uno, se andasse a fuoco la casa.

Procuratore. Dunque quid agendum?

Ridolfo. Tocca a voi, che siete del mestiere.

Procuratore. Non basta ora uno che sappia fare il legale, ci vorrebbe uno che sapesse far l’oro.