Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
I MALCONTENTI | 237 |
Felicita. Anch’io me ne faccio uno. S’accomodi un poco.
Leonide. No, perchè vado via. Di che cosa lo fa quest’abito?
Felicita. Non so s’io me lo faccia di carè, o di stoffetta.
Leonide. Per portare in città, vuol essere un bel drappo di seta alla moda.
Felicita. Basta, ci penserò. Mi dispiace vederla in piedi.
Leonide. Bisogna ch’io me ne vada: m’aspettano. Dica, ella non ci va in campagna?
Felicita. Non so; può essere.
Leonide. Poverina! in verità me ne dispiace. Sempre qui sagrificata. Hanno poca carità questi suoi parenti, e per dirla anche, poca convenienza.
Felicita. Oh, io non me ne sono curata d’andar in campagna; per altro...
Leonide. Oh, s’ella ci stesse un anno, come stiamo noi, l’assicuro che non la lascierebbe più.
Felicita. Stanno allegri dunque?
Leonide. Allegrissimi. Senta: voglio dirle la vita che abbiamo fatto l’anno passato.
Felicita. Non vorrei che per me l’aspettassero.
Leonide. Che importa a me? che aspettino. Siamo andati in dodici in compagnia; e tutti uomini, donne, padroni, servitori, carrozze, cavalli, tutti alla nostra villa. Arrivati colà, trovammo preparata una sontuosa cena; dopo cena si giocò al faraone, e siccome il sonno andava prendendo ora l’uno, ora l’altro, e mio fratello ed io eravamo impegnati nel giuoco, ciascheduno che aveva volontà di dormire, andò nel primo letto che ritrovò, ed io fui obbligata dormir colla cameriera, e mio fratello sul canapè.
Felicita. Questo è piacere! Questa libertà mi piace. E la mattina, come andò poi?
Leonide. La mattina? Bellissima...
Felicita. Ma non istia così in piedi.
Leonide. La mattina dopo, (sedendo) chi si levò tardi, e chi si levò di buon’ora. Chi al passeggio, chi a leggere, e chi alla