cola la ragione di quelli che sostengono necessaria l’unità del tempo e del luogo: dicon essi non essere verisimile che si consumi in tre ore l’orditura di un fatto, al di cui compimento furono necessari degli anni, ed essere altresì contro i precetti della verisimiglianza far passar l’uditore da una camera ad una piazza, dalla città alla campagna, e da un paese ad un altro. Se i spettatori di una Tragedia, o di una Commedia, presumessero di vedere in Teatro il verisimile perfettamente eseguito, partirebbero malcontenti da qualunque scenica Rappresentazione, poichè per quanto l’arte s’ingegni d’ingannare chi ascolta, non sarà mai vero che nel periodo di tre ore possano accadere quei fatti che sul Teatro si rappresentano, e che in un luogo solo possano combinarsi tante azioni diverse. Aristotile istesso accorda che in tre ore di tempo si possano raffigurare dei fatti possibili in un giro di sole, e perchè dunque non si potranno raffigurare quelli di un anno, di un lustro, e dell’età di un uomo se occorre? Se necessaria è l’immaginazione dell’uomo per appagarsi dell’apparenza, codesta immaginazione può estendersi senza misura, e il verisimile che vanamente si cerca nell’angustia del tempo, nella ristrettezza del luogo, basterebbe si riconoscesse nei caratteri, nelle passioni e nella combinazione artifiziosa degli accidenti. Ma pur troppo si veggono questi rigorosi seguaci di Orazio e di Aristotile osservare con stento i precetti delle unità, e trascurare le regole della ragione dettate dalla natura, ed approvate dall’universale dei popoli. Ecco il perchè (Signore) ho io nella presente Commedia introdotto per episodio un giovane male iniziato in quest’arte. Volendo egli, per segnalarsi, imitare il celeberrimo Shakespeare1, senza averlo prima studiato bene, e senza quei principi di natura che sono al Comico necessari, non può riuscire che una ridicola caricatura. Mi sono valso altresì di una simile congiuntura, per render pubblica la mia venerazione inverso un così rispettabile Autore, e rendere
- ↑ Nel testo del Pilteri si legge Shakespeir, ma più sopra il nome è stampato esattamente, e non si può incolpare di ignoranza il Goldoni, l’amico del Murray e dello Smith (v. dedica del Filosofo inglese, vol. X), del quale a nessuno sfuggirà l’acume e il buon senso in questa pagina dimenticata.