Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
223 |
A SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR
GIOVANNI MURRAY
Residente per Sua Maestà Britannica presso
la Serenissima Repubblica di Venezia1
RIMA che io mi determinassi a dedicare una mia Commedia a V. E., ci ho pensato moltissimo. Conosco il genio della Nazione, conosco il vostro precisamente, e so che per l’originario costume, e per il vostro particolare sistema, solete abborrir quegl’incensi, che al vero merito giustamente si danno. Non vorrei che da questa mia proposizione si avanzasse taluno a creder Voi nemico del vero merito, giudicando colla corrente del popolo inseparabili i segni estremi2 della venerazione dall’interna stima di un bene. Anzi per lo contrario niuno più di Voi ama e conosce il merito, ed in se medesimo lo coltiva; ma coi principj della buona filosofia, sostenete per massima che il vero merito debba esser contento di se medesimo. Questo ragionevole pensamento non deriva soltanto da quella moderazione che nelle anime grandi tenta di porre un velo dinnanzi alle virtù luminose, ma il zelo stesso con cui codesto merito si sublima, consiglia gli uomini valorosi sottrarlo da quegli equivoci, che lo possono coll’adulazione adombrare. Pur troppo vedesi tutto giorno ergere altari all’idolo della vanità; odesi frequentemente pur troppo confondere dall’interesse il merito coll’ignoranza, e colmare di finte lodi i prediletti della fortuna. Un uomo saggio sdegna di accomunarsi con queste immagini pitturate; gli basta essere conosciuto da pochi, contento di poter soddisfare a se stesso.