Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/159


LE MASSERE 153
Raimondo. Dove che andar io deggio, non mi par convenienza.

Costanza. Se andè in maschera, el logo sarà de confidenza.
Raimondo. Vado con degli amici.
Costanza.   Amighe ghe ne xe?
Raimondo. Orsù, non principiate.
Costanza.   Via, via, no ve scaldè.
Andeve a divertir.
Raimondo.   Voi, che pensate far?
Costanza. A mi no ghe pensè. Mi resto a sospirar.
Raimondo. Ecco. Sia maladetto! soffrir non posso più.
Costanza. Se pianzo e se sospiro, cossa v’importa a vu?
Raimondo. Se a me non importasse, non proverei tal duolo.
Costanza. Certo staressi meggio assae, se fussi solo.
Ma cossa voleu far? El cielo vol cussì;
Sto mio temperamento me despiase anca a mi.
Se fusse una de quelle che ama el devertimento.
Me lasseressi far, saressi più contento.
Ma cossa voleu far? Sopportè, caro fio.
Mi no gh’ho altri spassi, che star con mio mario.
Raimondo. L’affetto maritale è una perfetta cosa;
Ma sempre, sempre in casa, è una vita noiosa.
Costanza. No, sempre sempre in casa. Andemo, se volè.
Raimondo. E non potete in maschera andar senza di me?
Costanza. No posso; no gh’ho cuor, e mai no gh’anderò.
Raimondo. Fate quel che volete; adesso me ne vo.
Costanza. (Mo che can!) (piangendo)
Raimondo.   Cosa dite?
Costanza.   Gnente. (come sopra)
Raimondo.   Eccola lì.
Non fa altro che piangere. Tutto il giorno così.
Costanza. Mo via, lasseme star, andè dove volè.
Se son matta, mio danno, e vu no me badè.
Raimondo. Parerà presso il mondo, ch’io sia un uomo tiranno.
Costanza. Lassè che el mondo diga. No ve tolè sto affanno.
Raimondo. Costanza.