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dell’atto III, a tutti nota: cfr. G. B. Pellizzaro, Sopra la comm. di C. G. «Le Femmine punt.», in Rivista Teatr. II., vol. 12, f. 8, p. 246, Firenze, 1908) e pianta in asso il cavalier Giocondo dopo di averne fatto strumento alle femminili vendette. Era madama Bignè sul palcoscenico la Bresciani, la sdegnosa «famosissima Ircana». Goldoni ripeteva sul teatro di S. Luca il suo solito giuoco: attribuiva alla prima donna la parte insulsa di madama Possidaria e per la sua prediletta scriveva la parte principale. Di che s’indispettiva il marito della vecchia Gandini: vero è che nell’estate ventura i due coniugi abbandonavano il teatro Vendramin e l’Italia.

Quanto al cavalier Giocondo di Scaricalasino e alla sua ottima consorte, hanno per la satira sociale cert’aria di famiglia con Giorgio Dandin e ancora più con M. Jourdain, i villani arricchiti di Molière, e coi moltissimi nipoti e pronipoti sulle scene francesi e italiane (v. per queste P. Toldo, L’oeuvre de Molière et sa fortune en It., Torino, 1910: aggiungo, benchè spuri, Geronte e Mandricardo nella infelicissima Sanese del Lazzarini, rec. 1727, ed. 1734). È superfluo ricordare le Femmine puntigliose (v. Nota stor., vol. IV della presente ed., p. 199) e le altre commedie goldoniane (Famiglia dell’antiq., Locandiera ecc.) dove tra la borghesia e la nobiltà scoppia la lotta: qui accontentasi l’autore di spargere il ridicolo sulla vanità dei suoi personaggi, come nel Seicento il Molière.

L’episodio amoroso della vedova Marianna e del marchese di Sana, che ha la sua conclusione alla Montagnola di Bologna in qualche scenetta settecentistica, e l’episodio casanoviano di Gianfranco e Lisaura, non riescono a fondersi nella commedia. Quel Gianfranco, quella Lisaura, personaggi per noi odiosi e romanzeschi, li abbiamo più volte incontrati leggendo le Memorie del famoso avventuriere veneziano, che proprio nel luglio del ’55 veniva condotto ai Piombi: anzi li ritrovammo nello stesso teatro giovanile del Goldoni, negli intermezzi giocosi, scritti dopo il ’34 per la compagnia Imer. La «birba», il gabbamondo, l’«avventuriere» è figura sociale di tutti i tempi, ma nel secolo decimottavo diventa più sfacciato e siede insolentemente alla Corte, nei Ministeri, e comanda. Non credo che Gianfranco facesse fortuna: forse finì alle galere, come lo zoppo Scacciati delle Memorie goldoniane; e Lisaura si sposò forse decentemente, come Margherita, la bella Veneziana. Ricordate l’idillio del dottorino Carlo, interrotto a Milano dall’arrivo dei soldati piemontesi, a Crema dalla collera del residente Bartolini e a Brescia dagli onesti scrupoli dell’animo puro? (Voi. I della presente ed., pp. 82-92 e Mémoires, P. I, ce. 30-33).

Degli altri personaggi non mette conto di parlare. La madre debole (Marianna) conoscemmo già nella Beatrice del Padre di famiglia, insieme col figlio viziato e col pedagogo (cfr. anche la Madre amorosa). Don Pedro, che nella società del Settecento veste di solito da abate, lascia da parte lo stile fidenziano che ci annoia un’ultima volta nelle commedie del Fagiuoli, e mal si adatta al suo ufficio venale; sebbene nulla si risvegli ancora in lui della generosa coscienza del poeta lombardo. Il cicisbeo Alessandro, nato a eternanamente servire, arricchisce la lunga schiera di queste ignobili figure sociali nel teatro Goldoniano e nella letteratura del Settecento.

E segno in fretta altri luoghi caratteristici, per esempio, nella prima scena,