il Royer: «Goldoni a tenté de peindre quelques figures historiques: Torquato Tasso, Molière, Terence: mais il a complétement échoué dans ces essais, qui manquent d’ampleur dans la composition et de distinction dans le style» (Histoire universelle du théatre. Paris, 1880, tome IV, p. 300). Non men severo si mostra il Nocchi: «[Goldoni] colloca Torquato in mezzo a personaggi di spiriti volgarissimi, pone per nuova Eleonora una cameriera, nè meglio della dignità dell’argomento serba quella della persona del Cantor di Goffredo» (Commedie scelte di C. G., pubbl. per cura di R. Nocchi, Firenze, 1895, p. XIX). A. Mori in una sua rapida misera rassegna di drammi tassiani (Le sventure del Tasso nel Teatro italiano. Bologna, 1895) comincia da quello del Nota perchè «non conta parlare del Goldoni che volle appena sferzare la pedanteria dei granelleschi e porre in satira le Leonore». Per l’autorità del nome anche tra gli studiosi del Tasso, riferiamo intero il giudizio del D’Ovidio: «Il dramma del Goldoni anche lasciando stare lo strazio inutile che vi si fa della storia, accumulando in un breve tratto dell’anno 1581 (il Tasso quell’anno era in prigione) tutte le vicende passate e future del poeta, è un dramma di una semplicità così primitiva, che, a non conoscere il carattere del teatro goldoniano, si piglierebbe per una parodia. Don Gherardo, Tornio, Fazio, le tre Leonore, son tipi goffi da non potersi ridire. E in quanto poi al protagonista, il Tasso goldoniano ha tanto che fare, non dico col Tasso della storia, ma con un qualunque Tasso non indegno d’esser preso per il Tasso vero, quanto, mettiamo, le bouillant Achille della Belle Hélène ha a fare col δῖος Άχιλλεύς dell’Iliade» (Saggi critici. Napoli, 1878, pp. 187, 188). Condanna in verità troppo sommaria. Ma giudicata attraverso uno studio profondo sulla psiche del Tasso la modesta commedia goldoniana non poteva sperar miglior trattamento. Più equo perchè più oggettivo, se pur sempre severo, il Ciampi: «Questa commedia... è uno strazio di quel grande che tanti ne ha ricevuti in vita ed in morte. Eppure alcune scene comiche da vero, e il ridicolo di qualche carattere secondario, e la felicità dell’intreccio la fanno rivivere talvolta sulle scene. Ma se ella si chiamasse il poeta innamorato o fosse distinta per qualunque altro nome, nulla, veramente nulla sarebbe tolto all’azione, e il nome di Torquato starebbe più riverito nelle menti del popolo» (La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 82). Anche denigratore del poeta, dunque? Povero Goldoni! Invece pur nell’umile veste restava sincero l’omaggio. Severo per l’omonimo dramma del Nota, Angelo Brofferio non risparmia la critica neanche al suo precursore, ma, come il Ciampi, non tutto condanna. «Il Tasso del Goldoni è una cattiva commedia. Il gran Torquato vi si rappresenta come una specie di Pulcinella palleggiato dai cortigiani, schernito dalle donne e avvilito da sè medesimo. Tuttavolta questa commedia si sostiene per una mirabile varietà di caratteri, e per molti piacevoli e spiritosi incidenti» (Il Messaggero torinese. Prose scelte. Alessandria, 1839, vol. II, p. 108). Rammentando un fuggevole accenno carducciano al Torquato Tasso (L’Italianità di C. G. L’esule sommo. Numero unico de «La Dante Alighieri» Comitato di Senigallia, 1907) rileva il Cian la nota patriottica nel significato dei tre inviti giunti al poeta da tre differenti regioni d’Italia. «Quella gara, era una bella gara, nobilmente, schiettamente italiana». Gara ond’esce vittoriosa, si noti, Roma, non quella Venezia, rappresentata con simpatica arguzia e caldo affetto dal cortesan Tomio.