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dignità del soggetto sembrò pure al Goldoni veste conveniente solo il verso, e scelse come per le altre due commedie biografiche il martelliano. Savia misura anche questa, che l’umile prosa avrebbe reso più borghesi ancora personaggi e scene o l’enfasi dello sciolto fatto più stridente il contrasto fra la maniera goldoniana e il soggetto.
Presso la critica, in generale poco benevola alle tre commedie storico-biografiche, Torquato Tasso trovò minor favore che non il Moliere e il Terenzio. Quali le ragioni? Men felice era questa volta la scelta dell’argomento, perchè anche il Tasso, come quel Scipione non voluto in scena nel Terenzio, è «uno di quei personaggi eroici per la dignità e per il grado, che più alla tragedia che alla commedia convengono» (Goldoni, Premessa al Terenzio, a pag. 307 di questo vol.). E mentre il Terenzio non ebbe imitatori e nessuna delle molte commedie attinte, dopo il Goldoni, alla vita del Molière, s’elevò a vera opera d’arte, il Tasso dove misurarsi col dramma del Goethe.
Trovò sì anche la commedia del Goldoni apologisti, amici, ammiratori ferventi addirittura. La loda per l’intreccio felice il De Rossi (Del moderno teatro comico e del suo restauratore C. G., Bassano, 1794, p. 107); tra le commedie «classiche» la comprende il Meneghezzi (Della Vita e delle opere di C. G. ecc., Milano, 1827, p. 132). Il Montucci invidia all’autore della Gerusalemme sì perenne monumento (Scelta completa di tutte le migliori commedie di C. G..... Lipsia, 1828, tomo II, p. 58). Nel 1895 D. Livaditi ne desiderò la ripresa qual «conveniente appendice alle feste tassiane» perchè «commedia bellissima, piena di movimento e di vita» (Resto del Carlino, Bologna, 26 Febbr.). Alle sue «buone scene» accenna di passata Guido Mazzoni (Mémoires, da lui editi, voi. II, p. 380). «Gli scatti violenti, gli arresti di pensiero, le immediate fissazioni, i travolgimene di cervello penosi e pietosi» fanno del protagonista, a giudizio di Luigi Rasi, «il solo Tasso umano sulla scena, a confronto di tutti gli altri, compreso quello poeticamente magnifico del Goethe» (Il Marzocco, 25 febb. 1 907). Maggior lode ancora è in questo apprezzamento di R. Barbiera: «Solo Carlo Goldoni, nella spensieratezza divina del genio, intuì il carattere del cantore della Gerusalemme, quale la critica moderna, forte dei documenti, lo porge» (Polvere di palcoscenico. Note drammatiche. Catania, 1908, p. 14).
Ma che lotta ineguale tra l’esiguo drappello dei laudatori e l’ingente copia di verdetti arcigni, sarcastici, inappellabili! Eccone un florilegio: «profanazione» (Costetti, Il teatro italiano nel 1800. Rocca di S. Casciano, 1901, p. 67), «vero sacrilegio» (O. Targioni Tozzetti, Antologia della poesia ital., Livorno, 1901, p. 723), «aberrazione» (M. Ortiz, Giorn. stor. d. lett. ital. 41 1, p. 174] plaudendo al severo giudizio di Giuseppe Ortolani [Della vita e dell'arte di C. G., Venezia, 1907, p. 26]); «höchst unbedeutend» (Allgemeine Literalurzeitung, Halle u. Leipzig, 1829, col. 996), «unfrewillige Komödie» (Somborn, Das venezianische Volfelied. Heidelberg, 1901, p. 59), «très mediocre » (Répertoire du théatre francais ecc., Paris, Perlet, 1804, Tome XXIII.me, p. 145). Per Ernesto Masi questa è tra le opere «dalle quali non è lecito alla critica giudicare il Goldoni» (Lettere di C. G., Bologna, 1880, p. 68). «Per fortuna — conclude una sua critica Vittorio Federici — Goldoni non ha bisogno di questa commedia per la sua gloria» (Il «Torquato Tasso» di C. Goldoni e di P. Giacometti, Vita italiana, Roma, 1895, n. XV). E