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492 ATTO QUINTO
Torquato. Quel che prometter posso, a voi giuro e prometto;

Forza farò a me stesso, per soggiogar l’affetto.
Voi colla virtù vostra segnatemi la strada,
Onde trionfi appieno, onde in viltà non cada.
Marchesa. Uditemi, Torquato. Vano è celar l’amore,
Che voi per me nudriste con gelosia nel cuore.
Di perdermi sul punto, da fier dolore oppresso,
L’arcano custodito tradiste da voi stesso.
Ed io, nello scoprire la piaga vostra acerba,
D’esserne la cagione andai lieta e superba.
Piacquemi in faccia vostra una rivale ardita,
Scoperto il vostro foco, mirare ammutolita.
Piacemi, e in ogni tempo mi sarà dolce e grato,
Dir ch’io fui per mia gloria la fiamma di Torquato.
Ma più di ciò non lice sperare a me da voi.
Voi, che sperar potete? corrispondenza? e poi?
E poi ambi infelici noi ridurrebbe amore,
Senza conforto all’alma, senza mercede al cuore.
Di me dispor non posso: altrui mi vuol legata
Quella maligna stella, sotto di cui son nata;
E se di sciorre il nodo fossi soverchio ardita,
Potrei a me la pace, a voi toglier la vita.
Onde, qualor da voi penso disciormi e ’l bramo,
Segn’è che vi son grata, che più vi stimo ed amo:
Sì, vi stimo, v’apprezzo, di voi non vo’ scordarmi,
Ma deggio a pro comune per sempre allontanarmi.
Se voi di qua partite, io con onor qui resto;
Se qui restar vi piace, quindi partir m’appresto.
Può la partenza mia formar l’altrui martoro;
Può la partenza vostra salvar d’ambo il decoro.
Troppo di voi mi cale; voi nel mio cuor leggete.
Scusatemi, Torquato, pensate, ed eleggete.
Torquato. Ho pensato, ho risolto, ho nel mio cuore eletto.
Partirò. (s’alza)
Marchesa.   Partirete? (s’alza)