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488 ATTO QUINTO


SCENA VIII.

Camera di Torquato.

Torquato e don Gherardo.

Gherardo. Mi rallegro vedervi dallo spedale uscito.

Ehi, dite, della testa siete poi ben guarito?
Torquato. Qual sia la mente mia dirvi non so, signore;
So che persiste ancora la malattia del cuore.
Gherardo. Sono soggetti i dotti a malattie più strane;
Quanto studiano più, patiscono più rane.
Che hanno che far tra loro il cuore ed il cervello?
Lo stesso che han che fare le scarpe col cappello.
Torquato. Sapreste delle parti l’interna analogia,
Se fossevi piaciuto studiar l’anatomia.
L’origine de’ nervi, che si dirama e unisce,
Dal cerebro principia, nel cerebro finisce;
E se una corda istessa la macchina circonda,
Ragion vuol che toccata quinci e quindi risponda.
Ciò che dà moto e senso ai nervi principali,
Chiamasi sugo nerveo, o spiriti animali;
E questi di mal sorte resi dall’uom pensoso,
Si fa l’alterazione nel genere nervoso.
Chi studia, chi s’affanna, chi vive in afflizione,
I spiriti consuma con ria distribuzione;
E nel canal de’ nervi tal umor s’introduce,
Che stimola, che irrita, che alterazion produce,
Lassezza, convulsioni, tremor, paralisia,
Vapori ipocondriaci, apprensioni e pazzia;
Poichè gli uomini affetti da tal disgrazia orrenda,
Plus quam timenda timent, timent quae non timenda.
Gherardo. Per me non sarò mai ipocondriaco ed egro,
Son stato e sarò sempre senza pensieri e allegro.
Ditemi com’è andata, che il Duca mio signore
Dallo spedali sì presto v’ha fatto venir fuore?