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486 ATTO QUINTO
Fazio. Chisso è no lazzarone, chisso è no malcreato;

Co’ mico non ce parla. Pozz’essere afforcato.
D. Eleonora. Sparlar de’ galantuomini l’onestà non insegna.
S’egli da voi partissi, non fe’ un’azione indegna;
Fe’ suo dover partendo. La faccia a voi rivolta,
Vi salutò cortese, vi disse: un’altra volta.
Tomio. Sì ben, ma in do parole el ne podeva dir
Quello che ne premeva de saver, de sentir.
D. Eleonora. Ridere voi solete delli difetti altrui,
E siete, a quel ch’io vedo, curiosi al par di lui.
Ma che saper vorreste? parlatemi sinceri;
Se posso soddisfarvi, lo farò volentieri.
Tomio. Tanto gentil la xe, quanto graziosa e bella.
Fazio. Me peace, è de bon core. Viva la picciriella.
Tomio. Se dise che Torquato abbia svelà el so cuor:
Voressimo saver chi xe el so vero amor.
D. Eleonora. Vi dirò: non ha molto, v’era Torquato ed io,
Eravi la Marchesa, ei ci diceva addio.
Staccandosi da noi, dolente tramortì;
Pianse, svelò il suo affetto; ma non si sa per chi.
Fazio. Dice lo sì Gherardo, che smamara la gnora.
Tomio. Che l’ama la Marchesa.
D. Eleonora.   Ei non l’ha detto ancora.
Parve che nel sentirla vicina ad esser sposa,
Spiegasse i sentimenti dell’anima gelosa.
Ma rivolgendo i lumi nel tempo stesso a me,
Ei sospirando andava, nè si sapea perchè.
Tomio. Ma perchè don Gherardo dir che l’altra la sia?
D. Eleonora. Per adular se stesso nel gel di gelosia.
Fazio. Sì, sì, t’aggio caputo. È nnomo ch’è politeco;
Crede nella mogliera, non è marito stiteco.
D. Eleonora. Già la Marchesa canta per sè l’alta vittoria,
Dell’amor di Torquato facendosi una gloria.
Io potrei disputarle del buon poeta il cuore,
Ma d’una sposa onesta nol tollera l’onore.