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468 | ATTO QUARTO |
Tomio. Donca...
Gherardo. Le vado appresso.
Ma no, megli’è ch’io vada dal Principe, a vedere,
A confrontare, a intendere, a cercar di sapere. (parte)
SCENA VII.
Sior Tomio, poi Torquato.
El poderave in Corte formar fursi un equivoco.
Scarso xe el fondamento sul qual mi ho giudicà.
Vôi saver da Torquato... per diana, eccolo qua.
Torquato. Di Napoli l’amico ad appagar non basto:
Insiste nel volermi, insiste nel contrasto.
Io fomentar non deggio tale contesa amara.
Tomio. Cossa penseu de far?
Torquato. Restar penso in Ferrara.
Tomio. Bravo; no me despiase sto grazioso espediente.
Se sol dir, che la lengua trà dove diol el dente.
Volentiera in Ferrara lo so che resteressi;
Ma cossa dise el Duca? come va sti interessi?
Torquato. Il Principe clemente a favellar m’intese;
Calmò la gelosia, che nel suo petto accese.
Spero la mia condotta non gli darà sospetto.
Venero la Marchesa; ho per lei del rispetto;
Ma non può dir ch’io l’ami.
Tomio. No xe gnanca el dover,
Che del so segretario corteggiò la muggier.
Torquato. Non è ver. Chi lo dice?
Tomio. Oh, questa sì xe bella.
Le Leonore xe do: la sarà questa, o quella.
No m’aveu confessà...