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450 ATTO TERZO
D. Eleonora. (A me più caricato intimò la partenza).

Marchesa. (Nel dir ch’io me ne vada, m’usò dell’insolenza).

SCENA V.

Targa e detti.

Targa. Signore, è la giornata questa de’ forestieri.

Un altro vi domanda.
Torquato.   Venga pur volentieri.
Targa. Mandato ha l’imbasciata, ancora è un po’ lontano.
Torquato. Sai dirmi chi egli sia?
Targa.   È un signor veneziano.
Torquato. Lo vedrò volentieri; amo assai la nazione.
Anderò ad incontrarlo. Con vostra permissione.
Marchesa. Servitevi, signore. (sostenuta)
D. Eleonora.   Sì, servitevi, andate. (sostenuta)
Torquato. Che vuol dir quest’asprezza? Siete meco sdegnate?
D. Eleonora. Vuol dir che quasi quasi disciolta è la contesa.
Partirò per piacervi. Resterà la Marchesa. (parte)
Torquato. V’ingannate, signora.
Marchesa.   S’inganna, anch’io lo so.
Torni donna Eleonora, v’intendo: io partirò, (parte)
Eleonora. Rido di tutte due, ch’hanno i lor sdegni accesi.
Non sanno, poverine... Ehi, già ci siamo intesi, (parte)
Targa. Andiam, che il forestiere non tarderà a venire;
Se baderete a donne, vi faranno impazzire. (parte)
Torquato. È vero, e son vicino ad impazzir per una.
Dissi con due lo stesso, e non m’intese alcuna.

SCENA VI.

Il signor Tomio e don Gherardo.

Gherardo. Sì, signore, Torquato v’insegnerò dov è.

Tomio. La me farà ben grazia.
Gherardo.   Favorite con me.
Ma chi è vossignoria?