Fazio. Tu sei, Torquato mio, in Sorriento nato;
In Napole t’aveva lo patre generato;
Sia per l’un, sia per l’autro, chiaro se bide e chiano,
Tasso, non v’è che dicere, tu sei napoletano.
Gherardo. Dicon sia bergamasco...
Torquato. Chetatevi un momento.
Fazio. Da Bergamo è lo patre, la matre da Sorriento.
In casa della mamma è nata chissa gioia;
Quella però se dice che sia la patria soia.
Torquato. Signor, sul nascer mio niuno finor pretese;
Merto non ho che vaglia a risvegliar contese.
Misero qual io sono dagli Itali non spero
L’onor ch’ebbe da’ Greci il combattuto Omero:
Anzi che s’abbia a dire paese sfortunato,
Temo, per mia cagione, quello dov’io son nato.
Fazio. Sanno i Napoletani, sa tutta la cettate,
Che tu se’ sfortunato, che vivi in povertate.
I parenti, li amici, el popolo t’invita
A passà, bene mio, chiù meglio la to vita.
Gherardo. Ei non potrà venire, perchè in Corte impegnato.
Fazio. Uh, managgia la mamma porzì che t’ha figliato.
Gherardo. Bravo; così lo stile di Napoli si sente1.
Torquato. Voi meritate peggio. (a don Gherardo)
Gherardo. Non me n’offendo niente.2
Fazio. Vieni, Torquato mio, vieni alla città bella:
Non essere chiù ingrato all’amore di quella.
Sarai lo ben veduto da principi e marchesi,
Avrai delli carlini, avrai delli tornesi;
Songo per te venuto; viene con meco...
Gherardo. Io dubito
Ch’egli non ci verrà.
Fazio. Possa morì de subito, (a don Gherardo)
Gherardo. Obbligato, signore.
- ↑ Questo verso manca nell’ed. Zatta.
- ↑ Segue nell’ed. Zatta questo verso: «Torquato. Di mia sofferenza voi abusate sovente.»