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TORQUATO TASSO 417
Vadasi a lui... ma s’egli?... Egli è di me il padrone.

Se il nemico m’insulta? Mi saprà far ragione.
Qual ragion, qual ragione? Perfidi, l’ingannate...
Oimè! l’alma delira. Vado a lui: perdonate, (parte)

SCENA IV.

Don Gherardo e Targa.

Targa. Del povero padrone non so che cosa sia;

Sei, sette volte il giorno lo vedo in frenesia.
Egli non ha perduto della ragione il lume,
Ma tetro divenuto mi pare oltre il costume.
Gherardo. Giovine egli era ancora, era in età puerile,
Che gravità mostrava sostenuta e virile.
Narrano quanti amici finor l’han conosciuto,
A ridere giammai non averlo veduto.
Questo suo umor patetico principio ha dalle fasce;
Difficile è la cura d’un mal con cui si nasce.
Targa. È vero, anch’io il proverbio dir più volte ascoltai:
Quando si nasce matti, non si guarisce mai. (parte)

SCENA V.

Don Gherardo solo.

Suol lagrimosi effetti produr melanconia.

Misero chi è soggetto al mal di fantasia!
Io almen l’indifferenza ebbi dal cielo in dono:
Vada ben, vada male, sempre lo stesso io sono.
Forza è dir di Torquato, che la bile lo prema,
Or che del suo Goffredo cambiar vuole il poema.
Curiosità mi sprona veder com’egli è accinto...
Il duodecimo canto fatto è il decimoquinto.
(va leggendo sopra vari fogli che trova sul tavolino)
     Era la notte, e non prendean ristoro
     Col sonno ancor le faticose genti,