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TORQUATO TASSO | 415 |
SCENA II.
Don Gherardo ed il suddetto.
Torquato. Correggo.
Gherardo. Impazzirete.
Torquato. È vero.
(getta la penna, e s’alza)
Gherardo. Posso veder?
Torquato. No ancora.
Gherardo. Vi prego, qualchecosa.
Torquato. Frenate la soverchia avidità curiosa.
Gherardo. Nel veder, nel sapere ho tutto il mio diletto.
Torquato. Quest’è in voi, compatite, stucchevole difetto.
Gherardo. La passion del sapere è naturale in noi.
Torquato. Saper con discrezione. Tutto ha i limiti suoi.
Gherardo. Dunque voi non volete ch’io veda niente, niente?
Torquato. Per carità... La testa mi scaldo facilmente.
Per or non m’inquietate; lo vederete poi.
Gherardo. Sarò il primo?
Torquato. Il sarete.
Gherardo. Ben, mi fido di voi.
Ma ditemi soltanto, s’è ver quello ch’io credo,
Che riformate il vostro bellissimo Goffredo.
Torquato. Sì amico, è ver pur troppo: stanco la mente mia,
Sol de’ critici in grazia.
Gherardo. Cotesta è una pazzia.
Torquato. Il Cavalier del Fiocco, l’acerrimo cruscante,
Fin qui è venuto a farmi il critico, il pedante;
E tanto a danno mio, tanto ha egli fatto e detto,
Che puote il mio poema far passar per scorretto.
Il Duca mio signore protegge il mio nemico:
Di lui parlar non oso, il destin maledico.
Pochi ignoranti, ch’hanno l’adular per mestiere,
Sogliono far per gala la corte al forestiere,