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TERENZIO | 395 |
che la commedia «non sia squisitamente condotta. Ma Terenzio tiene molto del carattere del Moliere» (La vita artistica di C. G., Roma 1860, p. 83). Con giustizia sommaria il Terenzio fu condannato, in compagnia del Moliere e del Tasso, dal Guerzoni (Il teatro ital. nel s. XVIII, Mil. 1876, p. 206) e, più di recente, da G. Ortolani (C. G. nella Vita e nell’arte, Ven. 1907, pp. 85 e 86) da G. Caprin (C. G., Mil. 1907. pp. 294 e 295) da V. Brocchi (C. G. e Ven. nel s. XVIII, Bol. 1907, p. 38). Non senza contraddizioni il Rabany afferma: l’erudizione di Goldoni apparisce di fresca data e non bene digerita; «la pièce, malgré son pretendu caractère antique, est surtout une comédie anecdotique»; «la pièce, assez languissante, ne s’anime que par instants»; l’episodio di Critone che si finge mercante di Tracia, contiene «un bout d’intrigue assez vive qui rappelle les tours du Phormion, l’original des Fourberies de Scapin»; i personaggi episodici si mostrano «assez conformes à ce que nous savons de l’histoire». La conclusione poi travolge nel medesimo giudizio l’intero teatro del grande commediografo: «En somme, Térence est une oeuvre un peu molle et sans traits caractériss, comme tout ce qua fait Goldoni, mais qui mette l’antiquité en scène avec une exactitude suffisante... Si Cesar a pu justement qualifier Térence de demi-Ménandre, Goldoni, malgré tout, serait encore apprécié au-dessus de sa valeur si on l’appelait demi-Térence» (C. Q. cit., 171 e 172). Meglio, e più brevemente, aveva scritto Alfonso Royer: «Quant aux cinq actes du Térence, ils contennient une mince action, qu’un seul acte aurait suffi à développer» (Hist. univ. du théàtre, t. IV, Paris, 1870, p. 301).
Non mancarono i pietosi e anche i benevoli, tanto sono vari i gusti e i cervelli umani: ne ci fa meraviglia che negli anni 1817-18 il ragionato udinese Franc. Rota si prendesse la briga di ridurre il Terenzio in prosa (v. cod. Cicogna 2601 al Museo Civico di Venezia; e Fr. Foffano, Due documenti goldon.i, in Nuovo Arch. Ven. XVIII, 1899, pp. 220-233); che il Terenzio nel ’22 ottenesse l’onore di una traduzione francese da parte di un accademico, Stef. Aignan (1773-1824), tra i Chefs-d’oeuvre du théàtre Italien (Paris, Ladvocat, 1822); che nel ’57 il triestino Franc. Cameroni l’accogliesse fra i sessanta Capolavori di C. G. (1.a serie, Trieste, Coen, 1857); e che l’anno prima Raff. Nocchi lo accettasse fra le sette Commedie scelte di C. G. edite a Firenze (Le Monnier, 1856). Ma convien subito avvertire che, nella notizia premessavi, il Nocchi vi trova insieme uniti «i pregi e i difetti di G., la buona natura del suo ingegno e il gusto vizioso de’ tempi suoi... Feconda e brillante n’è l’invenzione, il protagonista degno della memoria che ci tramanda la storia... Noti personaggi dell’antica società, il cliente, il parassito, l’eunuco, connessi al fatto quanto basta a sodisfare all’arte in cotesti accessorii, fanno buono effetto». Ma d’altro canto, mentre richiedevasi splendore di stile, non che purezza e venustà», non vi si incontra «garbo nemmen di rettorica, come, per es., dove descrive una tempesta»; alcuni «tratti sanno di abate Chiari»; e «vuole anche indulgenza quell’erudizione fuori del necessario, e poco pellegrina» (l. c., 59-60).
Pare che questa pagina avesse letto l’anonimo critico della Perseveranza (1 ott. 1874), il quale lodò la scelta del soggetto, la pittura della società romana, la tessitura della commedia, la «creazione dei caratteri anche quando