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TERENZIO 383
Lucano. Son due Publio Terenzio: terzo sia l’Africano.

Pretore. Scriba, lui fra’ liberti ne’ dittici fia scritto, (allo scriba).
(Lo scriba registra il nome di Terenzio collo stile in una tavoletta.)
Pretore. L’ultimo rito adempi dalle leggi prescritto. (al littore)
Littore. (Copre il capo a Terenzio; indi, prendendolo per la mano, lo conduce in giro, facendolo vedere a ciascheduno degli astanti. Per ultimo vien condotto a Lucano; vuole scoprirsi il capo in atto di riverenza, Lucano lo trattiene.
Lucano. Serba a’ tuoi crini il fregio di libertate in segno,
Di tua virtute il premio, di mia pietade un pegno.
Terenzio. (Tornando al suo posto di prima.)
Almo pretor di Roma. (al Pretore)
  Padre eccelso, conscritto,
(a Lucano)
Gente illustre togata, popol romuleo invitto,
Dono è sublime, illustre, della pietà di Roma,
Poter de’ padri in faccia coprir libera chioma.
Volgo le luci in giro, e veggo a mio rossore
Fra Roma e fra Lucano gara per me d’amore:
Oh, fosse a me concessa facondia che a’ dì nostri
Odesi al roman foro dagli orator sui rostri,
Da cui, contro i nemici nell’animar le squadre,
Demostene fu vinto, dell’eloquenza il padre.
Ma se a comico vate sono i topici ignoti,
Da me, dell’arte invece, Roma gradisca i voti.
Serbino i numi eterno al popolo latino
Il don riconosciuto da Bruto e Collatino,
Dono di libertade, per più di trecent’anni
Al popolo concesso, scacciati i re tiranni.
Delle nazion nemiche, de’ barbari l’orgoglio
Veggasi ha catene deposto al Campidoglio;
E ’l teschio rinvenuto di quello alle pendici,
Di sangue sia presagio, ma sangue de’ nemici.
Deh, patria mia, perdona. Chi veste lazia tunica,
A te non può felice pregar la guerra punica;