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TERENZIO 381
Fabio. Invidioso schiavo morde il freno e punzecchia.

Damone. Ti vo’ corbellar bene, se arrivo a far da vecchia.
Fabio. Che dici?
Damone.   M’intend’io.
Fabio.   Non favellar fra’ denti.
Damone. Non ho timor, sebbene mi mancano i clienti.
Fabio. Parla con più rispetto; non irritar procura
Un che albergar vedrai fra poco in queste mura.
Damone. Tu di Lucano in casa?
Fabio.   Sì, di Lucan che mi ama,
Che sposo oggi mi vuole, che amico suo mi chiama.
Damone. Sposo di Livia?
Fabio.   O d’essa, o d’altra, a te non preme.
Damone. Ti sposerà a Creusa; la sposerete insieme.
Fabio. Frena l’audace labbro, o proverai la sferza.
Damone. No, Fabio, si perdona, quando dall’uom si scherza.
Fabio. Lisca dov’è?
Damone.   In cucina.
Fabio.   Che fa?
Damone.   Pentole odora;
Ch’abbiano il loro gusto vuol le narici ancora.
Fabio. Corteo1 faccia a Lucano, prendasi anch’ei tal pena.
Damone. Basterà ch’egli venga a corteggiarlo a cena.
Fabio. Chi d’altrui pan si pasce, se ciò trascura, è stolto.
Stan Lucano e Terenzio in mezzo al popol folto.
Qui attendesi il pretore per Terenzio invitato.
Damone. Cotai manomissioni non fansi2 in magistrato?
Fabio. Che sai tu di tai riti? Si dà la libertade
In tempio, al campo, in case, e in pubbliche contrade.
Ergere può per tutto con pompa e con splendore
Suo tribunale in Roma il console e ’l pretore.
Damone. Quand’è così, non parlo; venero il lor decreto,
Ancor quando il facessero in un luogo segreto.

  1. Zatta: corte.
  2. Zatta: si fanno ecc.