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TERENZIO 379
Creusa. Superbia in ogni stato è di viltade un segno.

Livia. Perchè in Grecia non torni?
Creusa.   Quivi restar consento.
Livia. Per far la tua fortuna?
Creusa.   Per fare il tuo tormento.
Livia. Libera ancor non sei, moglie non sei tu ancora.
Conoscerti, pentirsi di ciò può chi t’adora.
Ed io che agi’infelici avversa esser non soglio,
Giuro vendetta, e giuro frenar quel folle orgoglio.

SCENA III.

Damone e le suddette.

Damone. Che fai tu qui, Creusa? Va alle tue stanze: ansioso

Attendeti Lucano, con femmine pietoso.
La libertà ti dona per via del cieco nume;
Cambiar ti vuole il nome, giusta il roman costume.
Il suo diede a Terenzio da lungo tempo, il sai.
Tu in avvenir, Creusa, Livia ti chiamerai.
Livia. A greca il nome mio?
Creusa.   No, lo protesto ai numi:
Sdegno di Livia il nome, compiango i suoi costumi.
Il mio destin è incerto ancor più che non credi;
Nemica mi paventi, e serva ancor mi vedi.
Superbia nel mio seno sai che nutrir non soglio;
Mi fa pietà, non ira, il tuo soverchio orgoglio, (parte)

SCENA IV.

Livia e Damone.

Livia. (Perfida! Ma in tal guisa sensi pronunzia oscuri,

Che ancora i suoi diletti non sembrano sicuri), (da sè)
Damone. Livia, con lei fa d’uopo cambiar l’usato stile;
Parlare io ti consiglio più docile ed umile.