Terenzio. (Curvati),
(piano a Critone)
Lucano. E pingue.
Terenzio. Eccolo al tuo cospetto, se l’occhio nol distingue
Per grassezza perduta; miralo d’anni carco,
Candido come neve, curvo a guisa d’un arco.
(lo dice forte, battendo un piede, acciò Crilone si curvi)
Lucano. Che vuoi tu dir per questo? Segni tutti fallaci,
Facili ad imitarsi dagli uomini mendaci.
Terenzio. Mira, signor, sue prove non esibite invano:
Eccoti la corteccia segnata di tua mano.
Scrivesti collo stile tu stesso il tuo contratto;
Ei della greca schiava ti domanda il riscatto.
Lucano. Oimè! chi m’assicura essere il greco Trace,
Non un ch’abbia rapito questo mio scritto, audace?
Terenzio. Signor, io lo conosco. Costui, ch’or ti presento,
Protesto, e alla protesta aggiungo il giuramento,
Esser ei quel che puote, sia per ragione o patto,
Della venduta schiava pretendere il riscatto.
Lucano. E i duemila sesterzi?
Terenzio. A me li ha consegnati.
Solo che tu li voglia, son colà preparati, (accenna la stanza)
Lucano. (Render dovrò colei? colei che m’innamora?) (da sè)
Vecchio, a me t’avvicina.
Terenzio. (Deh, non rizzarti ancora.)
(piano a Critone)
Critone. Eccomi a’ cenni tuoi. (a Lucano, accostandosi)
Lucano. Tu vuoi da me Creusa?
Critone. Giusta il patto...
Lucano. Comprata l’ho per due lustri.
Terenzio. Scusa.
(a Lucano)
Par, due lustri passati, che renderla dovresti,
Se lo sborsato prezzo indietro non avesti.
E i duemila sesterzi a te deono esser dati,
Allor che gli anni dieci non fossero passati.