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370 ATTO QUARTO


SCENA IV.

Lelio con quattro Servi, ciascheduno dei quali porta
una cassetta nelle mani; ed i suddetti
.

Lelio. Ecco, Terenzio, amico, ecco di Roma il dono:

Nummi ottomila in quattro parti divisi sono.
Questi non tuoi per legge, schiavo, ancor non romano,
Ma tuoi per il tuo merto, per favor di Lucano.
Usane a tuo talento: libero ne disponi,
Qual uom nato agli onori fra libere nazioni.
Odi però il consiglio che a te porge chi t ama:
Libero fra’ Quiriti il tuo signor te brama,
Però de’ cittadini chi vuol godere il pregio,
Deve di pingue censo vantar ne’ lustri il fregio.
Or questi che a te reco, uniti ad altri beni,
Acquistino a Terenzio le cariche e i terreni:
E in ogni lustro poi, che d’un quinquennio è il giro,
Salir faccia il tuo nome dove gli eroi saliro.
Terenzio. D’onor, di gloria vago son io più che di spoglie.
Ite a deporre il peso, amici, in quelle soglie.
(ai quattro servi, i quali entrano in una stanza)
Grato son di tal dono al popolo romano,
Grato all’amico Lelio, gratissimo a Lucano.
Far di quell’oro in breve uso cotal m’impegno,
Che sia grato agli Dei, che sia di virtù degno.
Lelio. Torno agli edili nostri, torno al pretor di Roma,
Ch’oggi a te dee la verga impor sull’aurea chioma.
Nel renderti liberto (non giungati improvviso)
T’udrai con lieve mano battere il tergo e il viso;
Libar la sacra tazza dovrai del tuo signore,
Soffrir ne’ loro uffizi lo scriba ed il littore;
Comune ai cittadini avrai la doppia vesta.
Tutti vedrai gli amici, tutti i Romani in festa.
(parte coi servi)