Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/379


TERENZIO 367
Gettar gli arredi al mare fu provvido consiglio.

E i lavori e le merci di me primier di tutti
A saziar fur date l’ingordigia de’ flutti.
Ferma, alla man crudele dir mi faceva il cuore:
Serba a misera figlia il prezzo dell’amore.
Abbia la greca schiava per voi paterna aita,
Sgravi la nave invece d’un misero la vita;
L’arca si serbi, e vada vecchio canuto all’onde.
Ahimè! l’arca si getta, e a me non si risponde.
Stava sul punto io stesso di darmi al mar fremente,
Ma in me perde ogni speme, dicea, figlia innocente.
Deh, l’Olimpico Giove salvo me guidi in Roma;
Offrirò ai lacci il piede, reciderò la chioma:
Godrò, pur che Creusa in libertà ritorni,
Vivere in servitute il resto de’ miei giorni.
Questi i miei voti furo; salvo guidommi il nume;
Vengo a offerirmi al cambio, per grazia o per costume;
E se cambiar si sdegna giovane in uom canuto,
Or la sfuggita morte richiamerò in aiuto,
E mirerò sin dove il cuor giunga inumano
Dal pianto non commosso d’un barbaro romano.
Terenzio. Come fin là il destino di lei ti fu palese?
E qual di liberarla speme in tuo cuor s’accese?
Tutta mi narra, amico, tutta la serie vera,
E prove da me aspetta d’amicizia sincera.
Critone. Un uom che in Tracia nacque, curvo per gli anni e grave,
A mercatare avvezzo miseri schiavi e schiave,
Compra Creusa mia di man d’un africano;
Vendella in verde etade, per due lustri, a Lucano,
Patto fra lor giurando, che a lui l’avrebbe resa
Allor che ad egual prezzo fosse da lui pretesa:
Non per desio pietoso di riscattar la figlia,
Ma per doppia mercede ritrar dalla famiglia,
Svelando ov’ella fosse fra lacci ritenuta,
Per duemila sesterzi la misera venduta.