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TERENZIO | 357 |
Da piccola scintilla prodotto il maggior foco.
Perdon, se nel mirare dapprima il vago oggetto,
Qual si dovea non ebbi a te, signor, rispetto.
Se il grado mio scordato, in quel fatal momento,
M’arresi al dolce incanto che forma il mio tormento,
Se di colei, che merta del mondo aver l’impero,
Questo mio cuor s’accese miserabile, altero.
Lucano. Par che di Livia parli. (da sè) Se tanto ho a te concesso,
Poss’anco ciò donarti, che amo quanto me stesso:
Dal prezioso acquisto, che offro a tuoi merti, ancora
Vedi se Lucan ti ama, se ti distingue e onora.
Terenzio. (L’offerta a lui penosa m’atterra, e mi confonde), (da sè)
Lucano. (Al maggior de’ miei doni stupisce e non risponde), (da sè)
Terenzio. Dunque, signor...
Lucano. Sì, amico, non ti avvilir, fa cuore.
La mia pietà vuol lieto mirarti anche in amore.
Più di Ciprigna il figlio il cuor non ti martelli,
E di dolcezza pieni farai carmi più belli,
S’è ver che quella sia che ti ha tenuto in pene...
Terenzio. Signor, vedi Creusa che timida sen viene.
Lucano. Questa è colei, Terenzio, questa è colei che gravi
Lacci impose a quest’alma, ch’ha del mio cuor le chiavi.
So che tu pur la stimi, so che tu pur l’amasti:
Buon per te, che per tempo fiamme nel cuor cangiasti;
Perciò l’amor sospeso a te più forte io rendo.
Consolati, Terenzio.
Terenzio. Sì, signor. (Non l’intendo) (da sè)
Lucano. Olà, perchè t’arresti? (verso la scena, da dove viene Creusa)
SCENA XI.
Creusa e li suddetti.
Lucano. Sempre hai tu da fuggirmi? Sempre ho io da pregarti?
Saran le tue ripulse ai miei desiri eterne?