Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
350 | ATTO TERZO |
Lisca. Grato non è Terenzio al cuor d’amico vero?
(a Terenzio)
Terenzio. Gli animi, i cuor d’entrambi noti mi sono appieno:
Conosco il dolce riso per me fatto sereno. (ironico)
Ma Lisca, s’io perissi, per questo non digiuna;
E Fabio non ha d’uopo di me per sua fortuna.
Fabio. T’amo per amor vero.
Lisca. Nol fo per l’interesse.
Terenzio. Stolto Terenzio fora, se cieco a voi credesse.
I nobili compiango, compiango i candidati,
Che fondan lor grandezza nell’essere adulati.
Pane gettato invano, sportule invan disperse
Per gente di mal cuore, per anime perverse.
Merto non ha bisogno di lode adulatrice;
Ricchezza mal usata fa il prodigo infelice.
Onde di buon acquisto i beni mal locati
Fan giudicare al mondo che sien male acquistati.
Della fortuna il dono, de’ miei sudori il prezzo,
Dividere agl’ingrati per me non sono avvezzo,
Cercate chi vi creda. Da me non aspettate
Ch’essere sulle scene esposti alle fischiate.
Opera degna essendo de’ comici scrittori
Schernir i parassiti, scoprir gli adulatori,
Onde dell’alme indegne il vizio si corregga,
O almen del loro inganno il popolo s’avvegga;
E apprendan cittadini, e apprendan senatori
Ai miseri dar mano, punire i traditori. (parte)
SCENA V.
Fabio e Lisca.
Lisca. Fabio? E un avaro.
Fabio. Superbo è quell’audace.