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TERENZIO 347
Damone. Raro il fagiano è in Roma, che in Grecia ha suo ricetto;

Ma se l’impegno adempi, anch’io te li prometto.
Lisca. Perchè schernito resti Terenzio nel cimento,
Della commedia nostra sia Plauto l’argomento.1
Veggasi nel confronto questo e poi quel dipinto;
Terenzio ha i suoi nemici; diran ch’ei resta vinto,
E tua sarà la gloria d’averlo scorbacchiato.
Terenzio sia deriso, Damone vendicato.
Damone. Bene, bene, ma bene, duemila volte bene.
Lisca, i fagian son tuoi... Ma un dubbio ora mi viene:
Se a me conto si chiede chi Plauto fosse, o quale,
Non so s’uomo sia stato, o bestia irrazionale.
Lisca. Lume ti do che basta: Plauto nell’Umbria nacque,
Fallito mercatante, tristo in miseria giacque,
E tanto in poche lune l’oppresse il rio destino,
Che a raggirar s’indusse la macina al mulino.
Negli ozi lacrimosi, per quel che a noi si dice,
Diè a immaginar commedie principio l’infelice;
E queste indi ridotte al novero di venti,
Tornaronlo in fortuna, produssero portenti.
Avea stil sì purgato, onde le Muse anch’esse
Udrebbonsi, parlando, a dir le cose istesse.
Giustizia anche a’ dì nostri gli rendono i sapienti,
Di Plauto commendando i semplici argomenti,
E l’arte, onde soleva dipingere i costumi,
Il mondo conoscendo, da quel prendendo i lumi.
Soggetto di commedia non dà la di lui vita,
Ma favole sognando cosa farem compita;
Basta che nel confronto penda il giudizio almeno,
Di critica l’applauso dal volgo verrà pieno.
Bastan tre o quattro soli a screditar lo schiavo,
A far che il popol gridi: bravo, Damone, bravo.
Damone. Tante da te ne intesi; io ne dirò una sola,

  1. Sembra una sfida all’ab. Chiari, che in fatti pochi mesi dopo ebbe pronto il suo Plauto.