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344 ATTO SECONDO
La libertà ch’ei spera, è incerta alla sua chioma,

Nel nostro sen riposa l’onor di tutta Roma.
Lelio. Mille, per uom sì conto, avran ferito il cuore.
Livia. Cedere all’adottiva dovran del suo signore.
Lelio. Credimi, se tu tardi, cotal condizione
Non valeratti dopo la sua manomissione.
Livia. Troppo sarebbe ingrato, cercando altri legami.
Lelio. Livia, per quel ch’i’ sento, tu confessi che l’ami.
Livia. No, non amo uno schiavo, nè l’amerò giammai.
Sia libero Terenzio, dirò s’unqua l’amai.
L’onor delle Romane fisso nell’alma i’ porto;
Ma farmi non ardisca donna qualunque un torto. (parte)

SCENA XIV.

Lelio solo.

Il torto che paventi, credo l’avrai da tale,

Che per voler del fato ti è serva, e ti è rivale.
Giugne tant’oltre il fasto delle Romane in core,
Che credonsi le sole custodi dell’onore.
Preme a noi pur, che regni in lor gloria latina;
Ma donna far non puote di Roma la rovina.
Misero l’uom, se stesse l’onor d’una famiglia
Nel cuore della sposa, nel cuore della figlia!
Facciano il lor dovere, sia donna o sia fanciulla;
Puniscasi chi manca, e l’uom non perde nulla. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.