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TERENZIO 343
Creusa. (Perfida! Ti conosco. Uscir da quelle porte

Farammi, a tuo dispetto, o il mio Terenzio, o morte).
(da sè, e parte)

SCENA XIII.

Livia e Lelio.

Livia. Ch’ami costei Terenzio, sento nel mondo invalso. (a Lelio)

Lelio. Spesso nel volgo sparge fama bugiarda il falso.
Livia. Ma ciò si lasci, e dimmi: il popolo latino
Offre al comico vate l’onor di cittadino?
Lelio. Arbitro è sol Lucano di sì bel dono, e Roma
Pregalo che tal fregio conceda alla sua chioma.
Quel ch’ora dagli edili s’agita in sacra sede,
E all’opre di Terenzio generosa mercede.
Nel dì pria delle none d’april, ne’ giochi usati,
Per Rea, madre de’ numi, Mengalesi chiamati,
L’Eunuco in un sol giorno due volte empieo l’arena
Con destra e con sinistra tibia sonora, amena:
Onor, ch’è riserbato a’ comici preclari,
L’impari tibia usata concessa ai più vulgari.
Con pubblico decreto merta che a lui sia dato
Premio che de’ poeti sorpassi il premio usato.
Livia. Credi che il suo signore la libertà gli done?
Lelio. Lo credo.
Livia.   E allor fia degno di dame e di matrone?
Lelio. L’uso di Roma è tale. La verga che percuote
Per amor, non per ira, dello stranier le gote,
Fa che del sangue istesso ogni bruttura emende,
E degli onori a parte de’ cittadini il rende.
Livia. Qual credi tu più degna del libero Africano?
Lelio. Quella cui per amore fe’ sua figlia Lucano.
Livia. Da lui dipender deggio obbediente figlia.
Lelio. Livia, da lui lontana, il cuor che ti consiglia?
Livia. Finche Terenzio è servo, pensare a lui non deggio.
Coll’anime vulgari amante non vaneggio.