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TERENZIO | 339 |
Livia. Resta. Che pensi, audace? Che amor per lui m’aggrave?
Il cuor dell’eroine mal veggono le schiave.
Creusa. Se tal dubbio fallace nutrisse il mio pensiero,
Tua scusa non richiesta par che mi dica: è vero.
Livia. Taci.
Creusa. Non parlo.
Livia. E bada, in faccia al tuo diletto,
A Livia che t’ascolta non perdere il rispetto.
Non veggano quest’occhi uscir da tue pupille
In faccia del tuo vago le fiamme e le faville.
Creusa. (Misera me!) (da sè)
Livia. Terenzio, a che t’arresti? Il cuore
Dipingesi per reo dal soverchio timore.
(parla verso la scena, da dove viene Terenzio)
SCENA VIII.
Terenzio e le suddette.
Franco sarò, se ’l brami, audace anche, se ’l chiedi.
Che leggesi, permetti che vegga da Creusa. (a Livia)
Livia. Non legge.
Terenzio. Che fa dunque?
Livia. Non si domanda.
Terenzio. Scusa. (umiliandosi a Livia)
Livia. A te che cal di lei?
Terenzio. Nulla; ma è naturale
Curiosità, che onesta negli uomini prevale.
Livia. Non ti celar, Terenzio: l’amor tuo non mentire.
Terenzio. Mentir di Livia in faccia? Troppo sarebbe ardire.
Livia. Vorrei, s’ella ti amasse, felicitar tua brama;
Ma struggerti gli è vano, per donna che non ti ama.
Terenzio. Mi disprezzi? (a Creusa)