Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/350

338 ATTO SECONDO
Promettoti per premio dramme parecchie d’oro;

Promettoti due vasi d’olio che non ha pari,
Per ardere in segreto a’ tuoi paterni lari.
Creusa. Sola sei lune intere? Sola dagli altri esclusa?
Livia. Sola al ricamo intenta, e per mia man rinchiusa.
Creusa. Arte che l’alma impegna, riesce più dolce e vaga,
Qualor la mente oppressa dall’opera si svaga.
Livia. Ma lo svagar talora scema al lavor l’affetto,
Diviso in varie parti il cuore e l’intelletto.
Creusa. Credi; vedrai che l’uso...
Livia.   Basta così, lo voglio.
Udir da’ servi miei vane ragion non soglio.
Mira il disegno, e dimmi se quei d’Apelle imita.
Creusa. Esser da greca scuola veggo la mano uscita.
Maestro di tal arte chiaro l’autor comprendo,
Ma sia favola o storia, la tela io non intendo.
Livia. La spiegherò, se ’l brami. Que’ due di vario sesso,
Che timidi, qual vedi, vagheggiansi dappresso,
Sono da pari laccio ambi legati e servi;
Mira nel volto i segni degli animi protervi.
Quel che là vedi in atto d’impor cenni al littore,
Minaccevole in volto, de’ perfidi è il signore.
Scoperte con isdegno di lor le fiamme impure,
Condannali alle verghe, condannali alla scure.
Creusa. Manca, se all’occhio il vero tramanda l’intelletto,
Altra figura al quadro, per renderlo perfetto.
Donna qui vi vorrebbe in abito romano,
In atto di svelare de’ miseri l’arcano,
Col viso e colle mani mostrando il suo livore,
Armando di sua mano la man del senatore.
Livia. (Temeraria! M’intese, e mi risponde ardita.)
La guideran gl’insulti al fin della sua vita). (da sè)
Creusa. Se mal pensai... (a Livia)
Livia.   T’accheta. Viene Terenzio a noi.
(osservando fra le scene)