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28 | ATTO PRIMO |
Se una rival soffrissi ancor sugli occhi miei.
Conte. Che favellare è il vostro? che termini son questi,
Indegni di una dama che ha sentimenti onesti?
Rival d’una consorte dirsi non può colei,
Cui tratto come sogliono trattare i pari miei.
In casa e fuor di casa so fare il mio dovere;
Amar so da consorte, servir da cavaliere.
L’onor d’una famiglia così non si strapazza.
Contessa. Conte, non vi scaldate. Vorrei....
Conte. Siete una pazza, (parte)
SCENA IV.
La Contessa, poi Lesbino.
D’una femmina ingrata sacrifichi te stesso;
Non ho per gelosia perduto il chiaro lume,
D’onesta servitute non spiacemi il costume;
Ma duolmi che si perda miseramente il Conte
Con una che lo paga solo coi scherni e l’onte:
Con una che superba mi sprezza e m’odia a morte,
E cerca screditarmi nel cuor del mio consorte.
Come poteo scordarsi sì presto il caro sposo
Di quell’amor che il fece delle mie nozze ansioso?
Quel nodo che dovrebbe dar alimento al foco,
Farà che anzi si spenga, o almen che duri poco?
Dunque in amor di bene non vi è che un sol momento:
Prima il desio tormenta, e poscia il pentimento.
Ma che farò frattanto, se il ballo ed il convito
Persiste a voler dare il Conte mio marito?
Nol so. Del padre mio giovar potriami un lume;
Ma dell’inquiete donne abborrisco il costume.
Quando sarò forzata, farollo a mio dispetto;
Finchè si può, allo sposo serbisi amor, rispetto.
Ci penserò.