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TERENZIO | 319 |
SCENA IV.
Terenzio, poi Creusa.
Mi pungono egualmente con pari lancia il petto;
Io peno fra due lacci, però non mi confondo,
Cose maggiori il tempo sa regolare al mondo.
Creusa. Ah Terenzio, disastri nuovi il destin minaccia:
Il signor nostro irato, bieco guardommi in faccia.
Hai tu svelato ad esso l’ardor ch’entrambi accese?
Terenzio. Non da me, ma da Lelio tutto l’arcano intese.
Svelar ciò si dovea; doveasi uscir di pena.
Creusa. Esser speriam disciolti dalla servii catena?
Terenzio. La libertà m’offerse, solo, da te lontano;
Ma chi da te mi toglie, m’offre i suoi doni invano.
Morirò, pria che teco non vivere, mio bene.
Creusa. Stelle! al cuor mio che t’ama, raddoppiansi le pene.
Lascia quest’infelice in braccio al suo destino;
Non perder per me sola l’onor di cittadino.
Terrò senza lagnarmi fra le ritorte il piede,
Bastami che a me serbi il tuo cuor, la tua fede.
Terenzio. Se basta a tua virtute, all’onor mio non basta.
Le nozze tue Lucano amante mi contrasta.
Lungi da te preveggo di perderti il periglio;
Fia teco star tra’ lacci per or miglior consiglio.
Creusa. Spicca ne’ detti tuoi la tenerezza estrema,
Ma d’un padrone acceso dubita l’alma, e trema.
S’ambi qui star dobbiamo, direi miglior partito
Far con segrete nozze Terenzio a me marito.
Terenzio. Cresca l’amore a segno che per dolor mi sveni,
Ma un sol pensier la brama moderi, spenga, o freni.
Pensa che i figli nati di schiavitù agli orrori,
Seguon lo sventurato destin dei genitori;
E debitor saremmo, per folli amori ardenti,
Dei lacci tramandati ai miseri innocenti.