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318 ATTO PRIMO
La virtù dell’eroe credo consista in questo:

Nel tollerar costante il suo destin funesto.
Morir per l’onor suo, morir pel suo paese,
È nobile virtute che le grand’alme accese;
Ma sprezzan l’alme forti della fortuna il gioco:
Vile è colui che morte si dà per così poco.
Lelio. Vivi per comun bene, vivi per gloria nostra,
Ma per tua libertate men tiepido ti mostra.
Per me, pel tuo Scipione, nostro comune amico,
Per gli edili di Roma a prò tuo m’affatico.
Deh, l’opera di tanti struggere non ti piaccia;
Lavinio, il tuo nemico, più non ti rida in faccia.
Non vaglia sulle scene al detrattore insano
Il dir: Terenzio è schiavo; Romani, io son Romano.
Al popol, che s’appaga di facile ragione,
Con questo nome in bocca il tuo rivale impone.
Terenzio. Vanti Lavinio audace di cittadino il nome;
Per questo non isperi i lauri alle sue chiome.
Scrivo all’età presente, scrivo all’età future.
Dell’opere si parli, e non delle avventure;
Che se parlar di queste s’avesse al mondo in faccia,
Siam conosciuti entrambi; buon per lui che si taccia.
Lelio. Dunque...
Terenzio.   Colei che m’arde, ecco mi viene innante.
Mira, se merta meno l’amabile sembiante.
Lelio. Vaga è, nol nego.
Terenzio.   Io gioco, che se ti fissi in lei,
Ti fa invidiare Amore perfino i lacci miei.
Lelio. Compiango le tue fiamme, compiango la tua stella.
Pensa, risolvi, addio. (Lo compatisco, è bella).
(da sè, e parte)