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TERENZIO 317
Tal io da’ labbri tuoi attendo il mio destino.

Qual si mostrò Lucano delle mie brame al volo?
Lelio. Libero sei, se ’l chiedi; ma senza sposa, e solo.
Terenzio. La grazia dimezzata rende mal pago il cuore;
Peggio, delle due parti se perdesi il migliore1
Amo la libertade, amo la donna bella,
Ma questa delle due mi piace più di quella;
Onde, se a me si nega ciò che quest’alma adora,
Sa ricusar Terenzio la libertade ancora.
Lelio. Perdere un sì bel dono per lei non ti consiglio,
Che può, dopo il tuo bene, formare il tuo periglio.
Terenzio. Lelio, di tai concetti piene ho le carte anch’io,
Ma in ciò dalla mia penna discorda il desir mio.
Insite per natura son le passioni al cuore,
Non vagliono ragioni per vincere l’amore.
Nella commedia a cui dà il titolo Formione,
Anch’io sgridai l’amore del giovane Antifone;
Ma allor che la morale spargea su’ fogli miei,
Se gli occhi di soppiatto miravo di colei,
Dicea: Tu sei pur bella, amabile Creusa!
E al cuor del figlio amante mi suggeria la scusa.
Lelio. Ma che far vuoi, se invano a chiederla ritorni?
Terenzio. Soffrir nostre catene ancor per pochi giorni.
Lelio. Per pochi giorni? E come discioglierai quel nodo?...
Terenzio. Eh, san trovar di sciorlo l’anime franche il modo.
Lelio. Troncar colla tua mano vuoi della vita il velo?
Terenzio. No; serbar vo’ la vita, finchè la serba il cielo.
Hassi a morir, gli è vero, ed è fin d’ogni male
Sollecita anche troppo la morte naturale.
Spero troncar il laccio, in cui da noi si langue,
Con arte, con ingegno, non colle stragi e il sangue.
Folle è colui che affretta suo fin colla sua mano:
In altro mi uniformo; in ciò non son Romano.

  1. Nelle edd. del Settecento si trova la virgola dopo parti (= ti pare), ma il senso non corre bene.