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IL PROLOGO.
Ravvisi il personaggio, ch’io rappresento antico?
Della Commedia innanzi, solo al popol ragiono...
Basta, basta; or ciascuno sa che il Prologo io sono.
Non mandami il Poeta per sola vanità
Di richiamar sul palco la bella antichità.
Ma questa volta almeno, a voi fa di mestieri
Ch’io dica il suo disegno, ch’io sveli i suoi pensieri.
Questa Commedia nuova, che a voi si raccomanda,
Indietro coll’azione due mille anni vi manda,
Allor quando fioriva, scacciati i Re inumani,
La Repubblica invitta de’ popoli Romani.
L’Autor sa che taluno dirà nel suo pensiere:
Mirar costumi nostri è quel che dà piacere;
Non ferma, non impegna, e l’alme non ricrea
Carattere di cui non s’ha precisa idea.
L’Autor per me risponde esser ciò vero in parte,
Che criticar chi vive di dilettare è l’arte;
Ma vide dall’esempio degli uomini più accorti,
Che un Comico i viventi può criticar coi morti.
Di Plauto e di Terenzio, pregiati dai Romani,
Erano gli argomenti delle Commedie estrani,
Prendendo dalla Grecia i Comici soggetti
Per criticar di Roma i vizi ed i difetti.
Fur le passioni umane le stesse in ogni etate;
Son tutte le nazioni da un sol principio nate:
Sol variano col tempo i riti ed i costumi,
De’ quai a chi succede son necessari i lumi:
Questa occasion ci porge l’altra di dare al mondo
Un nuovo cogli antichi spettacolo giocondo:
E se le glorie loro veggiam nelle tragedie,
Giust’è che i lor difetti ci mostrin le commedie,