Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/323


311


IL PROLOGO.

C
HI è fra di voi, signori, che della storia amico

     Ravvisi il personaggio, ch’io rappresento antico?
     Della Commedia innanzi, solo al popol ragiono...
     Basta, basta; or ciascuno sa che il Prologo io sono.
     Non mandami il Poeta per sola vanità
     Di richiamar sul palco la bella antichità.
     Ma questa volta almeno, a voi fa di mestieri
     Ch’io dica il suo disegno, ch’io sveli i suoi pensieri.
     Questa Commedia nuova, che a voi si raccomanda,
     Indietro coll’azione due mille anni vi manda,
     Allor quando fioriva, scacciati i Re inumani,
     La Repubblica invitta de’ popoli Romani.
     L’Autor sa che taluno dirà nel suo pensiere:
     Mirar costumi nostri è quel che dà piacere;
     Non ferma, non impegna, e l’alme non ricrea
     Carattere di cui non s’ha precisa idea.
     L’Autor per me risponde esser ciò vero in parte,
     Che criticar chi vive di dilettare è l’arte;
     Ma vide dall’esempio degli uomini più accorti,
     Che un Comico i viventi può criticar coi morti.
     Di Plauto e di Terenzio, pregiati dai Romani,
     Erano gli argomenti delle Commedie estrani,
     Prendendo dalla Grecia i Comici soggetti
     Per criticar di Roma i vizi ed i difetti.
     Fur le passioni umane le stesse in ogni etate;
     Son tutte le nazioni da un sol principio nate:
     Sol variano col tempo i riti ed i costumi,
     De’ quai a chi succede son necessari i lumi:
     Questa occasion ci porge l’altra di dare al mondo
     Un nuovo cogli antichi spettacolo giocondo:
     E se le glorie loro veggiam nelle tragedie,
     Giust’è che i lor difetti ci mostrin le commedie,