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290 ATTO TERZO


Pantalone. No, patrona; el m’ha fatto vegnir qua per averli, e li ho d’aver mi.

Florindo. Certamente questi si devono al signor Pantalone.

Lucrezia. Ecco Laurina.

Florindo. Ecco la mia sposa.

Pantalone. Incontremoli, se la se contenta. (a Florindo)

Florindo. Or ora; permettetemi che supplisca al mio dovere con lei.

Pantalone. (Ho sempre paura che el vento me li porta via). (da sè)

SCENA XIV.

Donna Laurina e detti.

Lucrezia. Venite qui, Laurina mia, e sappiate ch’io vi amo più di quello v’immaginate. Ho veduto che con pena vi ridurreste a chiudervi nel ritiro. Osservate che vostra madre vi lusinga, e niente conclude; onde io, senza perder tempo in vano, ho risolto adesso subito di maritarvi.

Laurina. Che siate benedetta. Con chi?

Lucrezia. Ecco qui, col signor Florindo.

Laurina. Con lui?

Florindo. Con me, cara Laurina, che per eccesso di amore, oltre il sacrifizio del cuore, vi offro quello di ventimila scudi.

Ermanno. Che vagliono più di ventimila cuori.

Lucrezia. Che dite? Siete voi contenta?

Laurina. E mia madre?

Lucrezia. Vostra madre ha di molte parole e pochissimi fatti. Lo sposo eccolo qui.

Laurina. Lo vedo io.

Ermanno. E così?

Laurina. Non so che dire.

Lucrezia. Lo prenderete?

Laurina. Lo prenderò.

Florindo. Mi consolate, cara Laurina.

Laurina. Ma se mia madre lo sa?