Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/294

284 ATTO TERZO


vorrà fursi far la ritrosa: ma le donne le xe cussì, le dise de no quando che le ghe n’ha più voggia). (da sè)

Ottavio. (Grande amore ch’ella ha per la sua figliuola! Scrive con una tenerezza che fa stupire. Non so che risolvere). (da sè)

Brighella. (El batte la luna). (da sè)

Ottavio. Vanne da donna Aurelia, dille che sarò da lei a momenti.

Brighella. La sarà servida. Caro signor, la la consola la mia povera padrona, che la lo merita.

Ottavio. Procurerò di farlo; ma ella è nemica di se medesima.

Brighella. No la creda tutto, signor; se la ghe par un pochetto sostenuda, la lo farà per provar se vussioria ghe vol ben.

Ottavio. (Chi sa ch’ella non lo faccia per questo?) (da sè)

Brighella. La vegna presto, la la vegna a consolar. Per sugar le lagreme delle vedue, ghe vol un poco de caloretto matrimonial. (parte)

SCENA IX.

Il Conte Ottavio, poi Pantalone.

Ottavio. Torniamo a leggere questo foglio; veggasi se sotto il pretesto d’amor materno, si ascondesse una segreta avversione agli affetti miei. Ma no, donna Aurelia di mentire non è capace. Ella è adorabile; e perchè mai vuol privarmi del suo cuore e della sua mano? Vada nel ritiro donna Laurina, e veggendola fuor di pericolo, pensi alla propria pace ed alla mia onesta consolazione.

Pantalone. Sior Conte, ghe son umilissimo servitor.

Ottavio. Caro signor Pantalone, voi che siete meritamente stimato ed ascoltato da donna Aurelia, ditele voi che non si lasci trasportare con eccedenza dall’amor di madre; che pensi alla figliuola, ma non abbandoni se stessa.

Pantalone. Ghe l’ho dito, signor Conte, e ghel tornerò a dir; e spero che le cosse le anderà ben. La saverà che mi son stà