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LA MADRE AMOROSA | 281 |
Florindo. Mi rimetto in voi. Al sei per cento, se si può; e, quando occorra, anche l’otto, ed anche il dieci.
Notaro. E il dodici, se farà bisogno.
Florindo. Che si trovino ad ogni costo.
Notaro. Procurerò di servirvi. Questo veramente non è l’uffizio mio, ma in atto di amicizia lo farò volentieri.
Florindo. Vi sarò obbligato. Sollecitate, vi prego. Vado per un affare e vi aspetto al caffè.
Notaro. Ma per riscuoterlo poi?
Florindo. Ci penseremo. Colla dote di donna Laurina rimedieremo a moltissime piaghe.
Notaro. Ma se la dote non gliela vogliono dare?
Florindo. Amico, quando sarà mia moglie, la dote gliela daranno. Ella è erede di suo padre. La zia si lusinga, ed io le accordo tutto per ora, ma a suo tempo so quello che dovrò fare. Ve lo confido, perchè so che mi volete bene. A rivederci; vi aspetto. (parte)
SCENA VII.
Il Notaro, poi don Ermanno.
Notaro. Dice benissimo. La figliuola è l’erede, ma per avere la sua eredità, o dovrà aspettare la morte della zia, o dovrà incontrare un’acerrima lite, e non avendo denari per sostenerla, non so come gli riuscirà.
Ermanno. Oh signor notaro, che dite di quel caro signor Florindo? Ha dei debiti, è mezzo fallito.
Notaro. Eppure mi pare impossibile. So che suo padre lo ha lasciato assai ricco.
Ermanno. Sì, è vero, ma ha mangiato ogni cosa.
Notaro. Come potete di ciò assicurarvi?
Ermanno. Non avete inteso che ha mille ducati di debito, dei quali è creditore il signor Pantalone?
Notaro. Mille ducati di debito non è gran cosa per lui. Chi sa come sia la faccenda? Li pagherà, e non sarà altro.