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280 | ATTO TERZO |
Florindo. Questi mille ducati mi converrà pagarli.
Notaro. Certamente, la riputazione lo vuole.
Florindo. Ma vi sono alcune piccole difficoltà.
Notaro. E quali sono queste difficoltà?
Florindo. La prima si è, che non ho denari.
Notaro. Basta questa; non occorre trovarne altre.
Florindo. Ma voi, signor notaro, potreste bene aiutarmi.
Notaro. Io potrei trovarvi i mille ducati, e di più ancora, se aveste il modo di assicurarli.
Florindo. Dei beni ne ho, come sapete.
Notaro. Sì signore, e so anche che la maggior parte l’avete già ipotecata.
Florindo. Mille ducati son certo che li troverei con qualche giorno di tempo, ma oggi mi premerebbe averli, oggi li vorrei, per riparare il discapito dell’onor mio, e per riprendere caldo caldo il contratto con donna Laurina.
Notaro. Son qui per servirvi in tutto quello che sia possibile.
Florindo. Io ho ancora un gioiello, ch’era di mia madre: vendute molte altre gioje, serbai questo per regalarlo alla sposa. Nel caso in cui sono, vorrei servirmene. Non vorrei venderlo, ma vorrei impegnarlo: il suo valore è di quattrocento zecchini. Mille ducati si avrebbero a ritrovare.
Notaro. Quando il gioiello abbia l’intrinseco suo valore, non diffido di ritrovarli. Ma sapete in tali occasioni quello che si scapita.
Florindo. Lo so benissimo, e vi vorrà pazienza. Ecco qui il gioiello, che appunto me l’ho messo in tasca per tale effetto: osservatelo.
Notaro. Io di gioje non me n’intendo.
Florindo. Fatelo vedere, e trovatemi sollecitamente chi dia il denaro.
Notaro. Le gioje si stimano ora più, ora meno.
Florindo. Mille ducati li ho trovati ancora, e se non fosse morto un amico mio, che mi assisteva in tali negozi, sarei sicuro di ritrovarli in mezz’ora.
Notaro. Farò il possibile per servirvi. Ma circa l’interesse, come ho da regolarmi?