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270 | ATTO SECONDO |
Laurina. Sì, signora...
Lucrezia. Andate là, vi dico.
Laurina. (Ora è il tempo ch’io mi raccomandi a mia madre). (da sè)
Florindo. Partite senza mirarmi nemmeno? (a donna Laurina)
Laurina. Parto mortificata. (Mia madre mi consolerà), (da sè, e parte)
Florindo. Signora donna Lucrezia, non mi trattate così. Sappiate...
Lucrezia. Compatitemi, ne parleremo. (Senza la contraddote non si ha Laurina da maritare). (da sè, e parte)
Florindo. Così mi lascia? Signor don Ermanno, che dite voi?
Ermanno. Dico così, signore, che questa sera ne parleremo, (parte)
SCENA X.
Florindo e Pantalone.
Florindo. Mi piantano? mi deridono? Giuro al cielo, voi, signor Pantalone, mi renderete conto di tale insulto.
Pantalone. Xe mezz’ora che aspetto che la se volta a parlar con mi.
Florindo. Eccomi, che pretendereste di dire?
Pantalone. Che la se contenta de pagar sta polizza de mille ducati.
Florindo. La pagherò.
Pantalone. Quando?
Florindo. Quando mi parerà.
Pantalone. La la pagherà sala quando? Quando el giudice l’obbligherà.
Florindo. A me il giudice.
Pantalone. Se ghe piase.
Florindo. Caro signor Pantalone, sapete chi sono.
Pantalone. E ela sa chi son mi.
Florindo. Trattiamo da galantuomini, da buoni amici.
Pantalone. Son qua; volentiera, parlemo pur.
Florindo. Favorite di venir meco.
Pantalone. Vegno dove la vol.
Florindo. (Conviene ch’io l’accomodi ad ogni patto. Da questo può dipendere la mia pace e la mia fortuna). (parte)